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Il Chianti Montalbano

 

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“…….sullo sfondo le montagne azzurre e dorate, davanti ad esse le colline, create solo perché su ognuna vi fosse un castello una fortezza, una roccaforte; pendii coperti di cipressi e boschetti di pini, boschetti di querce, di acacie, ghirlande di vite, trecce succose e azzurre della bottega dei Della Robbia, ruscelli impetuosi e soavi: esattamente così dipinsero Fra’ Angelico, Fra’ Lippi, il Ghirlandaio e Botticelli, Piero di Cosimo e tutti gli altri, credetemi: essi hanno dato a questa terra la soave pienezza, tenera e pittoresca, e l’hanno ressa un libro illustrato, perché noi lo sfogliassimo con piacere, con un sorriso, con gli occhi scintillanti……….”.

Queste sono le parole di Karel Čapek, scrittore, giornalista e drammaturgo ceco, riguardo la campagna toscana, parole che non solo sottolineano la meravigliosa bellezza di scenari naturali unici ma ne legano l’essenza al rapporto stesso con l’uomo, al suo essere attivo protagonista culturale dell’ambiente che lo circonda, modellatore e vero homo faber di un rapporto con la terra della quale si nutre ed alla quale sempre dovrà tornare come ogni figlio fa nei riguardi della propria madre.

La vite stessa non è altro che il frutto di una natura prodiga sapientemente modellato, lavorato, educato dal lavoro quotidiano dell’uomo. Senza questa dedizione, senza tutto l’operoso sacrificio dell’essere umano non esisterebbe altro che una liana strisciante.

È solo l’uomo infatti che, curando come fosse una figlia la sua amata vigna, le permette di dare alla luce i suoi frutti migliori glorificandoli poi in quel prodotto meraviglioso che si chiama vino.

Ed è proprio del vino che voglio parlarvi, del Chianti, del re della Toscana, di quel vino che per lungo tempo avrà il nome di “Vermiglio” o di “vino di Firenze” prima di essere identificato, solo nel seicento, come prodotto legato al territorio toscano.

La denominazione di origine controllata “Chianti” nasce nel 1967 ed ottiene la DOCG nel 1984.

Fanno parte della DOCG “Chianti” le seguenti sottozone: Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Senesi, Colline Pisane, Montalbano, Rufina e Montespertoli.

Ed il Chianti “Montalbano” DOCG è il nostro protagonista di oggi.

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Foto di Laura Artuso

Il territorio nel quale viene prodotto il vino Chianti “Montalbano” DOCG è compreso tra le province di Firenze, Prato e Pistoia. Il Monte Albano o Montalbano è infatti una catena collinare, diramazione dell’Appennino Tosco-Emiliano, di grande interesse naturalistico e vinicolo.

Il pregio di tale area risiede in caratteri legati alla storia, all’evoluzione dell’uomo nei secoli, alla morfologia ed alla composizione geologica del territorio fatto di aree boschive, naturali, di insediamenti umani che affondano le proprie radici in una storia antica, di ettari di vigneti.

Un paesaggio mai comune, mai uguale, mosso, intenso, segnato da tinte diverse, forti e lievi al contempo, nette.

Un paesaggio nel quale la presenza umana e quella naturale da sempre sono riuscite a trovare una sapiente sintesi di convivenza e bellezza. Il profilo delle colline, delineato dalla presenza di olivi e viti, non solo rivela la vera anima di queste contrade ma manifesta quanto i contadini del luogo abbiano sapientemente interpretato le potenzialità di un territorio orientandolo con perizia ed intelligenza artigianale.

Il ritrovamento di vasi di vino all’interno di alcune tombe etrusche e la presenza dei veterani di Cesare assegnatari di terre site tra l’Arno e l’Ombrone, già allora destinate ad essere coltivate a vite, ci forniscono un chiaro ed inequivocabile segnale di quanto il territorio toscano fosse legato alla produzione del vino.

Risale al dominio dei Franchi (804 d.C.) uno dei primi documenti sulla produzione vinicola ed olearia di queste zone come altrettanto note sono le tracce, risalenti al duecento, di quantità di vino inviate come tributo alla mensa dei vescovi di Pistoia.

I vini “Chianti” sono prodotti da uve Sangiovese (dal 70 al 100%). Possono inoltre concorrere alla produzione, le uve provenienti da vitigni idonei alla coltivazione nella Regione Toscana come, ad esempio, Canaiolo, Canina Nera, Ciliegiolo, Colorino, Mammolo, Merlot, Montepulciano, ecc. .

Inoltre, possono entrare nella composizione del Chianti DOCG, i vitigni a bacca bianca      ( Ansonica, Trebbiano Toscano, Malvasia Bianca di Candia, Malvasia Bianca lunga, ecc.) per un limite massimo del 10%, singolarmente o congiuntamente, ed i vitigni Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, singolarmente o congiuntamente, nel limite massimo del 15% (per la sottozona “Colli Senesi” sono previste lievi differenze: quantità minima di Sangiovese non inferiore al 75% e non più del 10% di Cabernet Franc o Cabernet Sauvignon considerati singolarmente o congiuntamente).

Ci si potrebbe meravigliare nel vedere la presenza di vitigni a bacca bianca parlando di Chianti ma, per comprenderne pienamente il motivo, bisogna fare un passo indietro ripercorrendo la storia fino al 1870, quando il Barone Ricasoli, in una lettera indirizzata al professor Cesare Studiati dell’Università di Pisa scriveva : “il vino riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo e una certa vigoria di sensazione; dal Canaiolo l’amabilità che tempra la durezza del primo senza togliergli nulla del suo profumo, per esserne pur esso dotato; la Malvasia tende a diluire il prodotto delle prime due uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoprabile all’uso della tavola quotidiana”. Così nasceva la formula del Chianti.

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Foto di Laura Artuso

Il vino Chianti DOCG, anche con riferimento alle sottozone, può aver diritto alla menzione «riserva» se sottoposto ad invecchiamento di almeno 2 anni e, nel caso della sottozona “Montalbano”, un contenuto in alcol non inferiore a 12,50%.

Ricordo che è stata recuperata per il Chianti DOCG la tipologia “Superiore”.

Appare interessante sottolineare che nella vinificazione del Chianti DOCG sono ammesse soltanto le pratiche “locali, leali e costanti”, recita il disciplinare di produzione, tra le quali c’è “il governo all’uso Toscano”. Ma in cosa consiste tale pratica?

In sostanza consiste nell’aggiungere al vino appena svinato, entro il mese di dicembre, una certa quantità di mosto (dal 3% al 10% della massa) ottenuto da uve preventivamente fatte appassire su stuoie di canne (cannicci).

La tradizione e la storia narrano che le uve utilizzate a questo scopo fossero del vitigno colorino.

In questo modo si attiva una seconda fermentazione che conferisce al vino maggior contenuto in glicerina, in alcol, rendendolo più “rotondo”, piacevole e meglio disposto ad abbinarsi ai piatti tipici della tradizione gastronomica toscana quali salumi, arrosti, carne alla griglia.

Da ricordare che sulle bottiglie del vino Chianti DOCG è obbligatorio indicare l’annata di produzione delle uve e che , nel caso in cui il Chianti sia confezionato in fiaschi, è vietato l’uso di un fiasco diverso da quello tradizionale all’uso toscano come definito dalla normativa specifica che, riferendosi proprio al fiasco, ne precisa dettagliatamente le caratteristiche indicando che debba trattarsi di “recipiente in vetro………..rivestito in tutto od in parte con sala o paglia o altro materiale vegetale naturale da intreccio”.

Non è mio interesse entrare nella polemica ormai storica della disputa tra DOCG “Chianti Classico” e DOCG “Chianti”. Le denominazioni di origine non hanno più la valenza di 30 o 40 anni fa.

Non nascondo che esse possano ancora avere un “appeal” commerciale anche importante in taluni mercati, specie quelli esteri, ma è fuor di dubbio come proprio tali denominazioni di origine siano, allo stesso tempo, in gran parte incomprensibili proprio all’estero ed abbiano poco a che fare con la qualità di un vino.

La qualità ormai può essere garantita solo ed esclusivamente dal produttore, dal suo onesto lavoro giornaliero in vigna ed in cantina, nel rispetto dell’ambiente, del territorio, della salute dei consumatori.

Conoscere direttamente il vignaiolo ed il suo operato, è questa la vera garanzia di qualità di un vino.

Di produttori bravi, capaci, onesti, autori di vini intensi, profondi, di bella ed infinita bellezza gustativa, ce ne sono sia in “Chianti Classico” che in “Chianti”. Sta all’appassionato scovarli, parlare con essi, assaggiare il frutto delle loro fatiche giornaliere, anno dopo anno, per comprenderne profondamente lo spirito, per gustare quei territori che proprio i vignaioli riescono a tramutare in vino interpretandone gli aspetti, le stagioni, i colori.

Il vino è tutto questo: anima, calore, terra, tempo, lavoro umano, tanto lavoro umano, infinita passione, gioia.

Chi si ferma ad una denominazione è destinato a fallire miseramente.

La qualità di un vino la trovi oltre il disciplinare, oltre il testo normativo, la trovi negli occhi di chi quel vino lo fa e lo cura ogni giorno, nella sua anima profonda, nelle mani che sanno di terra e ad essa appartengono.

Venendo infine agli abbinamenti, bisognerà sempre tenere in considerazione le caratteristiche del piatto per poter abbinare correttamente il vino, in questo caso il Chianti “Montalbano” DOCG.

È chiaro che i piatti tradizionali del territorio trovano in questo vino il loro ideale e miglior abbinamento.

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Si va dalla zuppa di farro con fagioli, alle pappardelle al sugo di cinghiale o di lepre fino ai maccheroni alla pistoiese.

E poi, coniglio in umido, trippa alla fiorentina, cinghiale in umido, classica fiorentina o salsicce e fagioli all’uccelletto. La scelta è infinita.

Il Chianti “Montalbano” DOCG sembra essere stato concepito appositamente per accompagnare tutte queste delizie.

Scegliete un “Montalbano” dotato di maggior gioventù per i primi piatti, un altro invece con un buon patrimonio tannico per i piatti in umido, un terzo infine più morbido ma dotato di buon tenore alcolico per accompagnare una fiorentina alla griglia.

Con questo vino ci si può veramente divertire giocando con tutte le sue multiformi ed innate sfaccettature: freschezza, acidità, tannino, contenuto alcolico, sapidità, persistenza.

Perciò, buon Chianti “Montalbano” a tutti.

 

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